di F.T.
Il capannone della Ecorecuperi di Vascigliano, stipato di rottami d’auto e materiali plastici, iniziò a bruciare il 2 luglio 2009. Per domare l’incendio furono necessari ben centotredici interventi da parte dei vigili del fuoco, distribuiti nell’arco di quarantotto giorni.
Le conseguenze A quella vicenda fecero seguito polemiche e dubbi legati ai presunti problemi di salute accusati da alcuni residenti della zona, alle contaminazioni di terreni e bestiame, alla svalutazione degli immobili, ai maggiori costi di gestione, i minori introiti, le perdite nelle produzioni e i danni di immagine che diversi allevatori e agricoltori sostengono di aver subito a causa dell’incendio e della gestione della successiva emergenza.
Imputati In seguito alle indagini condotte dal sostituto procuratore Elisabetta Massini, sono finite a processo quattro persone: il direttore dell’Arpa di Terni Adriano Rossi, l’ex sindaco di Stroncone Nicola Beranzoli, l’imprenditore Terenzio Malvetani e il legale rappresentante della Ecorecuperi, Massimo Scerna.
Le richieste Giovedì mattina, nell’udienza di fronte al tribunale di Terni in composizione collegiale (presidente Zanetti, giudici Tordelli e Michiorri), il pubblico ministero, al termine di una requisitoria durata circa un’ora, ha chiesto condanne pari a 3 anni e sei mesi a testa per Adriano Rossi e Nicola Beranzoli e tre anni ciascuno per Terenzio Malvetani e Massimo Scerna.
Le dichiarazioni L’udienza di giovedì mattina si è aperta con le dichiarazioni spontanee rese da due degli imputati, Massimo Scerna e Adriano Rossi. Il primo ha ripercorso la storia della Ecorecuperi, un percorso partito bene ma poi complicato dalla chiusura dell’unica discarica italiana, quella di Brescia, in grado di smaltire il materiale di scarto derivante dalla lavorazione di rottami di auto. «Questa situazione ha finito per complicarci pesantemente la vita, anche dal punto di vista economico e organizzativo – ha detto Scerna -. In quelle condizioni, non era possibile fare di più». Il legale rappresentante della Ecorecuperi ha anche rivelato che in un fascicolo della procura di Terni, legato ad un processo per il quale è stato assolto, è contenuto un esposto presentato nel marzo del 2009 da un cittadino ternano che, oltre a denunciare presunte irregolarità da parte dell’azienda, specializzata nel recupero e smaltimento di rifiuti industriali e ferrosi, affermava che ‘il fluff depositato a Vascigliano verrà dato alle fiamme fra qualche mese’. Un concetto coerente con ciò che lo stessa Scerna ha sempre affermato, ovvero che il rogo abbia avuto un’origine dolosa.
L’Arpa Il direttore dell’Arpa di Terni, Adriano Rossi, ha ricostruito tutte le attività svolte dall’Arpa in seguito all’incendio: dai tavoli in prefettura, alle analisi e i campionamenti svolti a partire dal giorno del rogo, per individuare i principali agenti inquinanti gassosi e l’eventuale presenza di diossine nei terreni della zona. «I campionamenti relativi ad aria e suolo sono stati effettuati con criteri appropriati e attraverso gli strumenti tecnologici più idonei – ha detto Rossi in aula -. I risultati sono sempre stati messi tempestivamente a disposizione della prefettura, presso cui era stato istituito il tavolo operativo con tutti i soggetti istituzionali interessati dalla vicenda. Le analisi su vegetali e matrici alimentari erano di competenza dell’Asl che, per questo secondo ambito, le ha successivamente affidate all’istituto zoo profilattico. I prelievi sulle matrici alimentari sono partiti a due settimane dall’incendio e i risultati sono arrivati il 13 agosto, ovvero quaranta giorni dopo il fatto».
Parola all’accusa Nella sua requisitoria, il pm Elisabetta Massini ha affermato che «la consapevolezza della gravità dell’incendio e di un’inadeguatezza complessiva nell’affrontare la situazione si è avuta sin dall’inizio, così come la volontà di minimizzare gli effetti del rogo su persone e ambiente». Il magistrato ha distinto le responsabilità di Scerna da quelle degli altri tre imputati. Per il primo, secondo l’accusa, «l’aver stipato un quantitativo di materiale decine di volte superiore al consentito, ha di fatto impedito l’utilizzo delle vie di emergenza da parte dei vigili del fuoco ed ha favorito l’estensione dell’incendio ad una massa enorme di materiale plastico e la successiva diffusione di diossine. Tutti erano consapevoli della pericolosità di quel materiale – ha detto la Massini – eppure si è continuato a stiparlo come nulla fosse».
«Gestione dissennata» Sull’altro fronte processuale, il pm ha affermato come le analisi dell’Arpa siano state effettuate «attraverso strumenti inidonei e parametri normativi inadeguati per una zona agricola come quella di Vascigliano». Da qui sarebbero emerso i dati ‘rassicuranti’ che, per l’accusa, «hanno finito per legittimare le ordinanze dissennate del sindaco di Stroncone. Un fatto che, alla luce delle intercettazioni telefoniche, va oltre il pressapochismo e l’incompetenza». Per il pubblico ministero, «le telefonate fra Beranzoli e Malvetani, e le successive ordinanze, dimostrano il totale asservimento del primo rispetto al secondo, che a Stroncone è sostanzialmente un’istituzione. La prima esigenza non è quella pubblica, ma di ‘accontentare’ Malvetani che aveva appena venduto un lotto di terreno ad una casa costruttrice romana, garantendo nel contratto l’assenza di diossina nei terreni». In conclusione il pm, ricordando i gravi danni riportati da decine di cittadini e allevatori della zona in seguito al rogo, ha spiegato che «se l’evento fosse stato gestito con la cautela che i fatti imponevano, tutto ciò non sarebbe accaduto o sarebbe accaduto in forma decisamente meno grave».
Le accuse Secondo la pubblica accusa, Rossi, Beranzoli e Malvetani avrebbero agito in concorso per minimizzare le conseguenze del rogo, nella fattispecie l’inquinamento da diossina, consentendo così il commercio e la diffusione dei prodotti contaminati e la coltivazione su aree inquinate. Per la procura, Malvetani avrebbe agito dietro le quinte come ‘regista’ di alcuni dei provvedimenti assunti da comune di Stroncone e Arpa. Un’ordinanza in particolare, avrebbe di fatto escluso alcuni terreni di proprietà dello stesso Malvetani da quelli interdetti alla coltivazione. Per Scerna le accuse riguardano tutta una serie di violazioni colpose in merito a sicurezza, formazione dei dipendenti e normative antincendio. Per lui, anche l’accusa di aver stipato nel capannone della Ecorecuperi un quantitativo di rifiuti pari al doppio di quelli autorizzati
Parti civili Dopo l’accusa, hanno parlato i legali delle parti civili: il tribunale ha ammesso la costituzione di oltre quaranta soggetti fra allevatori, agricoltori e privati che sostengono di aver subito danni consistenti in seguito all’incendio. Oltre ai privati, fra le parti civili figurano anche i ministeri dell’Ambiente e dell’Interno, la confederazione italiana agricoltori dell’Umbria e il comune di Stroncone. Le parti civili sono rappresentate dagli avvocati Anania, Federico Belloni, Federica Bigi, Francesca Abbati, Massimo Farnesi, Valentino Viali, Leonardo Capri, Paolo Cipiccia (per gli allevatori e agricoltori della zona), Francesca Morici per i ministeri dell’ambiente e dell’interno, Fabio Amici per il comune di Stroncone, Carla Archilei per la CIA (confederazione italiana agricoltori) e altri privati cittadini. Quest’ultima ha chiesto una provvisionale pari a circa 500 mila euro per ciascuno dei quattro imputati.
Responsabili Proprio il comune di Stroncone figura anche fra i responsabili civili individuati dall’accusa, unitamente ad Arpa Umbria. I legali che li difendono sono intervenuti giovedì pomeriggio, alla ripresa dell’udienza-fiume. Dopo di loro hanno parlato gli avvocati difensori dei quattro imputati.
Beranzoli Manlio Morcella e Marco Angelini, legali difensori di Nicola Beranzoli, hanno spiegato come l’ex sindaco di Stroncone «non abbia mai derogato alle indicazioni fornite da Arpa e Asl, operando sempre in base alle risultanze tecnico scientifiche fornite e, anzi, adottando provvedimenti ancor più stringenti a tutela della salute». Secondo i due avvocati «manca poi del tutto la prova che Beranzoli abbia agito di intesa collusiva con chi ha elaborato queste analisi».
Malvetani Francesca Ghetti, che difende Terenzio Malvetani insieme ai colleghi Guido Alleva e Carlo Amati, ha spiegato come le ordinanze emesse dal sindaco di Stroncone siano state «assunte in piena autonomia, in base ai dati che venivano registrati e trasmessi dagli enti competenti. Di sicuro – ha detto il legale nella sua arringa – non sono frutto di presunte pressioni». Le stesse telefonate fra l’ex sindaco di Stroncone e Malvetani, «partono dal 18 agosto 2009 (il rogo risale al 2 luglio, ndR) e, soprattutto, rimangono del tutto inascoltate. Se anche vogliamo dire che Malvetani stesse rappresentando i suoi legittimi interessi di imprenditore, peraltro in un contesto che tutti definivano tranquillizzante dal punto di vista ambientale, l’azione non ha comunque portato ad alcuna modifica alle decisioni prese: il limite di cautela, fissato in tre chilometri dal punto del rogo, tale è rimasto anche dopo quelle telefonate».
Rossi L’avvocato Valeriano Tascini, difensore di Adriano Rossi, ha spiegato che «non è mai esistito alcun contrasto, come invece sostenuto dalla procura, fra Arpa e Asl. C’è stata, anzi, una piena collaborazione su tutti gli aspetti: dalle analisi, ai campionamenti, fino alla valutazione complessiva della vicenda». Il legale ha evidenziato come «le analisi sulle matrici ambientali condotte da Arpa, siano state effettuate con criteri e strumenti adeguati. Allo stesso modo Rossi non ha mai avuto rapporti né conosceva Malvetani, con cui ha avuto solo una telefonata in tempi successivi, e di molto, rispetto ai fatti contestati».
Scerna L’arringa dell’avvocato Fabio Militoni, difensore di Scerna, è slittata alla prossima udienza del 9 aprile, quella da cui emergerà anche la sentenza di primo grado. Il legale definisce quello di Vascigliano «un rogo doloso e non colposo. Tutte le circostanze che l’accusa ha ricollegato a presunte negligenze, dalla quantità eccessiva di materiali contenuti nella struttura al mancato funzionamento del sistema antincendio, non sono state provate. È stato invece dimostrato – aggiunge l’avvocato Militoni – che la pompa dell’acqua ha subito una manomissione e che fino alla settimana precedente l’incendio era perfettamente funzionante. Non solo, perché quello stato di cose all’interno della Ecorecuperi era stato autorizzato dalla Provincia di Terni che aveva dato 90 giorni di tempo, in pratica fino ad agosto, per ridurre la quantità di materiale presente». Sul fronte delle richieste di risarcimento danni, l’avvocato Militoni afferma che «le pretese civilistiche non vengono ricollegate all’incendio, bensì alle successive ordinanze. Al tempo stesso la presenza di diossine non è stata accertata. Lo stesso collegio giudicante ha dichiarato l’inutilizzabilità di tutti i campioni successivi al 3 luglio».
La Lega Alla luce dell’udienza di giovedì, la Lega Nord di Terni parla di «accuse allarmanti e sconcertanti che, laddove accolte dal giudice, mostrano ancora una volta come i nostri amministratori e rappresentanti istituzionali, anziché tutelare la nostra salute, preferiscono mercanteggiarla in cambio di qualcos’altro. Quella dell’incendio della Ecorecuperi – afferma il coordinatore Emanuele Fiorini – è una vicenda che si protrae ormai da tanti, troppi anni, che allo stato ha prodotto solo due certezze: immani danni economici per le aziende zootecniche ed agricole che si trovano nella zona interessata dal rogo e danni immani per la nostra salute. Ascoltando la requisitoria della dottoressa Massini, a ciò si è aggiunta una speranza, quella che la magistratura faccia finalmente chiarezza e che i colpevoli finalmente siano chiamati a pagare».