Faromaggio. Forse sarebbe sufficiente mettere al setaccio la vitalità semantica in potenza nel nome con il quale Roberta Petrini ha battezzato la propria azienda casearia per restituire al meglio la filosofia di un progetto che, sulle colline dell’Ardeche, sta facendo respirare aria pura di Rinascimento.

Da Assisi alla Francia «In effetti si tratta di un gioco di parole legato al formaggio. Farò Maggio, che vuol dire, in qualche misura, evocare il piacere della Primavera, ma anche Far Omaggio, nel senso di voler dare se stessi agli altri». Tutto, da queste parti, ruota attorno alla ‘domina’ mecenate venuta dall’Umbria. Al suo eclettismo e al suo progetto così visionario e così reale. Alle sue energie e ai racconti che concede ai visitatori e che dicono di una vita trascorsa tra grandi viaggi e quella incessante ricerca di un punto di equilibrio che potesse dare uguale slancio alle istanze della Natura e della Cultura. Figlia dell’industriale Petrini, che nel corso del Novecento gestì e diede prosperità all’azienda Petrini-Spigadoro, Roberta è nata ad Assisi e si è laureata in Filosofia a Perugia. L’amore per i cavalli (cavaliera e allevatrice allo stesso tempo), per i cani, per i viaggi e per il sapere («Ho tanti interessi e conoscenze che magari rimangono superficiali, però trovo che l’estrema specializzazione produca una chiusura mentale di cui spesso non si sente il bisogno») hanno contrassegnato una percorso che le ha regalato avventure picaresche, esperienze tra le più disparate e tre figli maschi.

Accoglienza e intrattenimento Geneticamente italiana, seminata e cresciuta in un luogo sperduto ma non isolato che è stato capace di preservare, della vita, un ritmo a misura di esistenza. Con quella sfumatura di naiveté francese che ha invece consentito di avvicinare l’utopia alla realtà. E le Domaine Le Trouillet, un microcosmo nei fatti autosufficiente che può ospitare turisti (in un Gite di 10 camere), dar da mangiare (in un ristorante con cucina italiana) e intrattenere (con una serrata programmazione di eventi), concretizzarsi come luogo di incontro e condivisione fondato sulla pastorizia, su un turismo sostenibile e sull’esigenza, si oserebbe dire esistenziale, di aprire il proprio mondo alla storia e alle pulsioni di culture diverse.
Vita agreste Oggi, la vita di Roberta è scandita dai ritmi della fattoria. Sveglia alle cinque del mattino e salita in azienda dove, con un sottofondo di musica classica o i dischi dei Pink Floyd, ha inizio la mungitura di pecore (soprattutto) e vacche con la conseguente trasformazione del latte. Ricotta, formaggi di varie stagionature. E un gelato che ingolosirebbe il più critico dei buongustai e che attira genti da tutto il dipartimento. «La condizione del pastore mi è sempre apparsa come la migliore vita possibile. In contatto con i bisogni primari e legata a un naturale scorrere del tempo. Penso sia stato quasi ovvio, per me, arrivare a intraprendere questo percorso», spiega Roberta, precisando come il romanticismo dell’ideale vada sempre e comunque sostenuto da una dose di pragmatismo. E così, se all’inizio la scelta ricadde sulla razza Lacaune, spiccatamente francese, Roberta non ha tardato a integrare il gregge con la razza italiana di migliore tradizione. Quella sarda. «Avevo la nostalgia del buon formaggio e la necessità di un animale più rustico e meno esigente. Con più personalità, insomma. E allora, consultati i miei amici sardi, ho apportato questa novità che sta dando grandi soddisfazioni alla produzione».

Roberta e l’Umbria «Sono cresciuta ad Assisi, circondata da quella magnificenza artistica e umana che i nostri antenati hanno saputo regalare alla civiltà europea. Mi sono trasferita per caso: Nel 1996, in vacanza con un amico in Aquitania, abbiamo comprato una casetta perduta nei boschi del Lot et garonne (ovest tra Bordeaux et Toulouse) e passandoci qualche tempo ho scoperto di sentirmi più libera e appagata che in Italia, quindi poco a poco mi sono trasferita fino a chiedere la residenza nel 1999. Ma la mia vita in Ardeche non poteva prescindere dalla riscoperta di quel bagaglio tanto che Le Trouillet è stato pensato in ogni singolo mattone, trave e ciottolo con gli occhi di chi in quella magnificenza è cresciuta».

Il Festival Le Trouillet è un centro di ospitalità e residenza per artisti, scrittori, scultori, musicisti, attori e intellettuali di tutto il mondo. Perché se il rispetto della natura e l’interazione ossequiosa delle sue leggi costituiscono il supporto, la forza animatrice delle numerose e intense iniziative culturali promosse ha il disinteressato obiettivo di dare vita, in uno scenario bucolico e ancestrale, a una prestigiosa tela disegnata da legami e relazioni di eco locale e internazionale. Ed è su queste premesse che nasce il festival più anacronistico e insieme futuristico che si potesse concepire. In estate, tra i dolci pendii dell’Ardeche, Le Trouillet si trasforma nello specchio di quel Paese di tradizione agropastorale che Roberta decide di ospitare nelle sue eccellenze. «Tra le tante iniziative che portiamo avanti, Origines è sicuramente quella a cui sono maggiormente legata. È la mia creatura, una mia figlia diretta nata dal sogno di un qualcosa che, in questo mondo, forse si avvicina all’assurdità. Ma è solo sognando l’assurdo che si realizza l’impossibile».
Si ringrazia il collega Matteo Sechi,
che ci ha segnalato questa bella storia