Ci sono eccellenze anche in Italia, in cui gli infermieri hanno i giusti dispositivi di protezione. Ma la denuncia che abbiamo raccolto punta proprio su alcuni casi limite, che riguardano in particolare gli infermieri territoriali, le cui condizioni di lavoro sono a dir poco pericolose’.
EMERGENZA CORONAVIRUS – UMBRIAON
La lettera
«Lavoriamo in condizioni di forte disagio»
Raccogliamo in particolare la denuncia di un addetto che lavora presso il ‘Centro di Salute’ di Ponte San Giovanni, veicolata dal suo sindacato Confsal Fesica. «Vorrei segnalare il forte stato di disagio in cui ci troviamo ad operare da quasi un mese sul territorio a causa di questa emergenza. Premetto che la priorità del nostro operato è garantire la continuità terapeutica di pazienti con gravi patologie al domicilio a cui ora si è aggiunto la procedura diagnostica di effettuare i tamponi a casa delle persone che mostrano sintomi o hanno avuto contatti con persone affette da Covid».
Turni massacranti
«Io ho iniziato il 7 marzo con una escalation impressionante, mano a mano che passavano i giorni, fino arrivare ad una situazione insostenibile a tutt’oggi. Io ho contratto il virus e sono in quarantena come una mia collega che, nonostante la negatività al primo tampone, ha maturato sintomi ed è in attesa del tampone di riconferma. In più un’altra collega è in malattia. Le problematiche sono numerose a partire dai turni massacranti, anche di dieci ore al giorno, che i colleghi rimasti si trovano ad affrontare quotidianamente con il lavoro a domicilio e quello dell’esecuzione dei tamponi».
Senza protezioni
«Siamo stanchi e preoccupati di incappare in errori che potrebbero essere anche molto gravi per noi e per i pazienti in quanto operiamo senza adeguati dispositivi di protezione, che sono inappropriati ed in numero insufficiente, abbiamo macchine mai sanificate, che possono diventare veicolo di contagio, siamo costretti a ‘vestirci’ con i camici all’esterno del domicilio dei pazienti che visitiamo. I colleghi rimasti in servizio vanno al lavoro senza sapere cosa li aspetterà, sobbarcandosi un lavoro più grande di loro. Si sentono, ci sentiamo abbandonati»
L’appello di Camicia
Raccolto questo appello, veicolato ai giornali, il sindacato diretto nel perugino da Carmine Camicia, ha inviato una lettera all’assessore Luca Coletto: «Questi ragazzi mettono in evidenza le difficoltà quotidiane che devono affrontare, con mezzi forse poco adeguati. Medici e infermieri sono in prima linea, e tutti hanno riconosciuto il loro grande impegno e il loro sacrificio, ma una parte di essi, quelli impegnati sui territori, impegnati sia nell’assistenza domiciliare, sia ad effettuare a domicilio i tamponi a persone che potenzialmente potrebbero essere positivi al Covid-19, si sentono abbandonati, come dimostra questa lettera».
«Ormai da tempo si attuano protocolli atti a tutelare sia i pazienti che gli operatori sanitari – scrive Camicia – ma non si possono inviare ad effettuare tamponi infermieri con auto di servizio mai sanificate, con mascherine che dovrebbero essere sostituite ad ogni accesso, mentre, gli viene imposto l’utilizzo per l’intero turno di lavoro, con un abbigliamento di fortuna e con turni massacranti».