Dovranno versare oltre 183 mila euro, quasi tutti – ad eccezione di 15 mila euro per la Usl Umbria 2 – a titolo di risarcimento in favore dell’azienda ospedaliera di Terni. Parliamo di tre medici, operativi in passato presso il ‘Santa Maria’, condannati dalla Corte dei Conti dell’Umbria per aver svolto attività intramoenia ‘extramuraria’ presso uno studio privato di Civita Castellana (Viterbo). Tutto ciò – in un arco temporale che i giudici hanno stabilito fra il 1° gennaio 2015 e il 30 aprile 2019 – senza la necessaria autorizzazione da parte dell’azienda ospedaliera a cui erano legati da vincolo di esclusività, per il quale percepivano un’indennità.
L’origine
La vicenda affonda le proprie radici nell’indagine ‘Panacea’ della Guardia di finanza di Civita Castellana e della procura di Viterbo che, oltre ad aver avuto risvolti sul piano penale, è finita all’attenzione anche della magistratura contabile umbra. Il danno erariale stabilito dal collegio presideuto dal giudice Piero Carlo Floreani e composto dai colleghi Rosalba Di Giulio e Pasquale Fava, è relativo «all’indebita percezione di quelle componenti retributive spettanti in ragione del vincolo di esclusività».
«Piena consapevolezza»
Singolarmente, i tre professionisti (R.C, S.G. e S.C. le loro iniziali) sono stati condannati a risarcire l’azienda ospedaliera ternana rispettivamente per 59.694, 60.086 (di cui 14.923 per la Usl2) e 63.661 euro (in quest’ultimo caso l’importo è stato ridotto del 20% rispetto a quanto chiesto dalla procura presso la Corte dei conti). Osservano i giudici nella sentenza: «Il dolo sussiste in quanto risulta dai documenti comprovata la consapevolezza, da parte dei tre medici, di effettuare prestazioni lavorative in difetto di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza, con grave trascuratezza dei propri doveri professionali, consistenti sia nel rispetto dell’obbligo di esclusività per cui avevano esercitato specifica opzione, sia nello specifico divieto di svolgere attività libero-professionale extra muraria a prescindere da specifica autorizzazione dell’ente di appartenenza». Ora la prospettiva per i tre medici è quella del ricorso alle sezioni centrali della Corte dei conti, su cui con tutta probabilità punteranno per ottenere una revisione sostanziale di quanto deciso in prima istanza.