«Tutti gli ospedali pubblici umbri, eccetto il piccolo ospedale di Branca, sono stati realizzati con fondi pubblici; quello di Terni non può essere in nessun modo pagato dai cittadini ternani. Un ospedale di Terni nuovo costa oggi centinaia di milioni; le risorse stanziate dalla Regione non bastano, ma non risulta siano stati mai richiesti ulteriori fondi al Ministero come hanno fatto altre Regioni. Le formule finanziarie alternative hanno già ampiamente dimostrato di essere del tutto svantaggiose: fare l’ospedale nuovo a debito ne moltiplica il costo. Nuovo si fa solo con tutti i soldi pubblici. L’ospedale di Terni deve essere integralmente mantenuto in mano pubblica, come è attualmente per tutta la rete ospedaliera regionale». Il neonato Comitato per la difesa ed il rilancio dell’azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, ha studiato un’alternativa «consistente in un intervento di rinnovamento e modico ampliamento dell’attuale struttura, che risolve i problemi e assicura molti vantaggi».
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I membri del Comitato, formato da Gianni Giovannini, Federico Di Bartolo, Sergio Angeletti, Pietro Calisti, Sandro Corradi, Gianni Nullo e Roberto Ruscica, spiegano che «i costi di realizzazione dell’intervento, ben armonizzato con la struttura esistente, sono sostenibili con i soli fondi regionali già disponibili, i tempi e i modi di realizzazione sono assai più brevi ed agevoli, la realizzazione dell’intervento non comporta la demolizione di strutture sanitarie funzionanti o disagi per la loro attività, la riorganizzazione è stata impostata secondo criteri di piena funzionalità, di umanizzazione e del miglior livello di comfort, è parte integrante del progetto la piena soluzione dei problemi di viabilità, accesso e parcheggio».
«Va ricordato che fino a pochissimi anni fa – aggiungono – il nostro ospedale rientrava nei primi dieci della classifica degli ospedali italiani per qualità, attrazione extraregionale, attività, risultati e costi. I problemi attuali non sono quindi legati alla struttura edilizia, perché è sempre quella, ma alle politiche regionali e gestionali in materia di personale, alla mancata o tardiva sostituzione dei molti primari andati in pensione, all’insufficiente finanziamento ed all’emergenza Covid, di cui ha subito un carico di pazienti senza uguali in regione. Tre anni fa, un gruppo privato ha proposto la realizzazione di un nuovo ospedale su Colle Obito con un project financing, prevedendo la demolizione, perché non c’è spazio, di tutta la zona ovest del colle oggi occupata da importanti servizi sanitari (malattie infettive, anatomia patologica, dialisi, sim infanzia, psichiatria) e complesse soluzioni per il passaggio al nuovo assetto. Proposta già bocciata nel 2023 dalla commissione incaricata, anzitutto per la insostenibilità finanziaria, ma di recente ripresentata ad altra commissione. La Regione Umbria, con la Delibera 1611/2023, ha impegnato per l’ospedale di Terni fondi per 116 milioni di euro. Non ci risulta invece essere stata mai avanzata dalla Regione alcuna richiesta al ministero di un finanziamento ad hoc per Terni».
Il project financing «è una formula di finanziamento privato che nel settore sanitario non può trovare un’applicazione canonica e perciò si è rivelata negativa anche per finanziamenti ben minori del nostro che sarebbe invece di proporzioni enormi. Molte Regioni, sia di centro-sinistra che di centro-destra, vi hanno ormai rinunciato: Veneto, Abruzzo, Marche, Toscana; Molto negativa si è rivelata pure l’ampia esperienza inglese. Debito, interessi e onerosi meccanismi contrattuali sottraggono infatti per decenni alle aziende sanitarie importanti risorse finanziarie destinate al loro funzionamento, costringendole al taglio di servizi e prestazioni che va poi a ricadere sulle tasche e sulla salute dei cittadini. te una formula che, facendone saltare i conti, tende con facilità a depotenziare e declassare un ospedale. È inaccettabile. Un finanziamento Inail, per un nuovo ospedale in zona Maratta, comporterebbe invece l’acquisizione della struttura in locazione e non in proprietà, con un onere comunque rilevante. L’obbligato rientro dal debito statale renderà inevitabile la privatizzazione di forti quote di patrimonio pubblico, tra cui quello Inail, alimentando rischi e incertezze. Risulterebbe problematico anche l’utile riuso del patrimonio pubblico costituito dall’ampia area e dall’enorme struttura attuale, con rischi di degrado per il complesso e per il quartiere. Si renderebbe infine più complicato pure il rapporto con Narni-Amelia».
Il complesso, spiegano dal Comitato, «si presenta tuttora dignitoso; dispone di un razionale blocco operatorio principale, quasi nuovo e peraltro potenziato; ha una ragguardevole dotazione tecnologico-strumentale in tutti i settori speciali-stici, interventistici, diagnostici e terapeutici; molti reparti sono stati rinnovati in tempi anche recenti. Costituiscono invece punti di debolezza il non sempre adeguato livello di comfort delle aree di degenza, gli spazi insufficienti per ambulatori e servizi, la ristrettezza del pronto soccorso, la carenza di parcheggi che ingolfa quartiere e viabilità, il complicato accesso dall’esterno, i percorsi non sempre razionali dell’emergenza sanitaria. Una situazione non certo drammatica e comunque non responsabile dei problemi attuali. Alla luce di queste evidenze, il nostro gruppo tecnico interdisciplinare ha studiato una soluzione alternativa basata su un intervento di globale razionalizzazione e mirato ampliamento dell’attuale complesso, in grado di risolverne i problemi: un intervento ‘cucito su misura’, fondato su criteri di funzionalità sanitaria e flessibilità e sulle scelte di Perugia e Ancona Torrette in situazioni paragonabili. La nostra proposta non si limita a mettere le ‘toppe’ qua e la ad una struttura datata, ma è un intervento globale che, oltre ad offrire nuovi spazi e migliori servizi, dà una seconda vita, un nuovo modo di funzionare a tutto il nostro rinnovato ospedale, rendendolo più razionale, comodo, a misura delle esigenze dell’utente, ma anche più gradevole e meglio organizzato come luogo di lavoro. Senza neppure un centesimo di debito».