di Monica Ceccarelli
Non sarà facile sintetizzare quanto successo nelle ultime tre settimane alla mia famiglia. Mi chiamo Monica Ceccarelli e sono una migrante, da oltre undici anni vivo e lavoro in Thailandia.
Chiunque viva o abbia vissuto la mia stessa condizione, sa che si vive sempre con una sorta di timore sempre presente… Nel mio caso questo stato d’animo si è reso concreto nella notte tra il 14 e il 15 febbraio scorsi, nella forma di un messaggio di mia nipote: «Mamma (mia sorella) è ricoverata in rianimazione, intubata, i medici danno poche speranze…».
Riesco ad organizzarmi e partire il sabato successivo, con l’ansia di non fare in tempo a salutarla. L’esperienza in rianimazione è devastante per i pazienti, a causa dell’invasività delle terapie e delle loro conseguenze. Per i parenti lo è altrettanto, una sorta di ottovolante terrorizzante che ogni giorno può riservare sorprese devastanti sia in positivo sia per improvvise cadute. Ti illudi di riuscire a comunicare con tua sorella ma la sua mente le regala allucinazioni e ti ritrovi a percorrere sentieri mai esplorati prima.
In tutto questo, ciò che va messo in evidenza soprattutto sono l’altissima professionalità del medici, che non si sottraggono al colloquio quotidiano con i parenti di ognuno, proprio perché la condizione dei pazienti può variare di giorno in giorno. Ma anche il personale infermieristico merita di essere elogiato per la loro specializzazione e umanità. Tutti i professionisti coinvolti rappresentano un valore fondamentale per una struttura pubblica che deve essere valorizzato quanto più possibile.
Il mio pensiero va anche ai familiari degli altri ricoverati con cui ogni sera nella sala d’attesa incrociavamo gli sguardi, a volte pieni di lacrime, a volte pieni di stupore per inaspettati progressi del proprio congiunto. Mia sorella mercoledì 12 marzo, dopo 28 giorni di rianimazione è stata trasferita al reparto di pneumologia dove è seguita con altrettanta professionalità e cura. A breve tornerà a casa per proseguire le terapie a domicilio. Io nel frattempo sono rientrata a Chiang Mai e venerdì nel salutarci mia sorella si è raccomandata affinchè scrivessi una lettera pubblica di ringraziamento e di elogio ai sanitari dell’ospedale ‘Santa Maria’ di Terni.
Ma a questo punto devo aggiungere anche un mio ringraziamento personale, per un episodio di cui mia sorella verrà a conoscenza tramite queste righe. Perché è successo che, dopo tutta questa attività di montagne russe che ho descritto sopra, non appena saputo che era fuori pericolo, nella notte il mio cuore sia impazzito nonostante sia in terapia da anni.
Così il martedì mattina ho avuto io bisogno delle cure del pronto soccorso. Ho quindi constatato ancora una volta la professionalità di tutti gli operatori del reparto, dal primario dottor Giorgio Parisi, alla dottoressa Marini che mi ha preso in carico, ed infine la cardiologa dottoressa Alessandra Tordini e tutta la sua equipe, che hanno proceduto ad una cardioversione elettrica per domare il mio cuore ‘imbizzarrito’.
Nel Paese in cui vivo posso usufruire di un’ottima assistenza sanitaria solo perché ho il privilegio di un’assicurazione, qui milioni di persone sono tagliate fuori da ogni cura ed assistenza. Non oso neanche immaginare quale sia il costo di un mese in un reparto di rianimazione, l’accesso alle cure per tutti è un elemento di civiltà e indice di vera cultura democratica di un Paese.