di Michela Chiappini
Da qualche mese ho deciso di acquistare una casa ad Acquasparta (Terni), una piccola realtà con una grande storia culturale e scientifica alle spalle. L’Accademia dei Lincei e gli sforzi di Federico Cesi di abbracciare un sapere che andava al di là delle tradizioni e delle autorità, non sembrano aver dato i propri frutti nella società civile odierna.
Qualche settimana fa mi sono recata a fare delle semplici analisi di routine al distretto sanitario ubicato in via Roma 1 e, prima di entrare, la mia attenzione si è rivolta alla bacheca sita all’ingresso ed occupata da delle locandine con scritto ‘l’aborto uccide un bambino’ etc., tutte correlate con delle immagini di feti abbastanza agghiaccianti e proponendo delle alternative piuttosto discutibili.
Oltre ad essere una cittadina del paese sopracitato, sono anche una educatrice sociale e pensare che ogni bambina e ragazza possa inevitabilmente leggere questi messaggi davanti a un presidio pubblico dedicato alla cura sanitaria, mi provoca un grande disagio e sgomento. Demonizzare in maniera grottesca un diritto sancito dalla legge italiana, come l’interruzione volontaria della gravidanza, e colpevolizzare le donne che vi ricorrono è senza dubbio un messaggio che lede la libertà e il diritto di autodeterminazione.
Ricordo che le istituzioni hanno già fatto sì che le donne che interrompono una gravidanza debbano affrontare un percorso ad ostacoli che, oltre alla carenza di medici e strutture, molto spesso include umiliazioni e pressioni psicologiche. Chiedo pertanto che la mia indignazione sia utile prima di tutto per rimuovere quei cartelloni portatori di un messaggio fuorviante e nocivo delle libertà individuali e per far riflettere sull’importanza del potenziamento della legge 194.