Cade dalla barella e si rompe l’omero. Infermiera di Terni condannata a risarcire

La sentenza della Corte dei conti: la dipendente del Santa Maria dovrà pagare ai familiari della 90enne circa 12 mila euro

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La paziente protagonista della vicenda, allora 90enne, era caduta da una barella del pronto soccorso del Santa Maria di Terni e, a causa dell’incidente, aveva riportato la frattura dell’omero sinistro. Il fatto risale all’8 febbraio 2013 e ora, a distanza di 11 anni, una dipendente dell’azienda ospedaliera, infermiera professionale, per quella caduta è stata condannata dalla Corte dei Conti dell’Umbria al pagamento di quasi 12 mila euro di risarcimento nei confronti del Santa Maria (che ha poi liquidato il danno agli eredi della paziente, nel frattempo deceduta per altre cause). Per i giudici la dipendente ha dimostrato «superficialità, scarso senso di responsabilità e temporanea inosservanza delle più elementari regole di buon senso e di prudenza, per cui si configura una colpa grave non scusabile». Meglio è andata a un altro infermiere professionale e a una dirigente medico di medicina e chirurgia d’accettazione e urgenza, per i quali è stata invece respinta la richiesta di condanna, per la stessa cifra, avanzata analogamente da parte della procura regionale contabile.

Ma ecco i fatti: l’anziana, in seguito ad uno svenimento presso la propria abitazione, era stata soccorsa da un’ambulanza del servizio 118 e trasportata al pronto soccorso. Come si legge nella sentenza, dopo i primi accertamenti in codice giallo, era stata posta in attesa di una consulenza cardiologica per oltre quattro ore fino a che, nel tentativo di scendere dalla barella, priva di qualsiasi aiuto ed ostacolata nei propri movimenti dalle sbarre laterali, era caduta riportando la frattura dell’omero sinistro ed escoriazioni alla testa, senza che il personale paramedico fosse riuscito ad intervenire in tempo, né avesse coinvolto il figlio della degente che aveva chiesto di collaborare ed era stato fatto uscire dai locali del pronto soccorso. In seguito alla vicenda la novantenne aveva presentato richiesta di risarcimento al Santa Maria, richiesta a cui aveva seguito un giudizio civile davanti al tribunale di Terni.

Il procedimento nel 2017, quando la donna era ormai deceduta, si era concluso con la condanna dell’azienda a favore degli eredi per un totale di circa 35 mila euro. Da qui l’apertura del fascicolo della procura regionale della Corte dei Conti nei confronti dei tre dipendenti, incorsi secondo la magistratura contabile «in palesi violazioni degli obblighi di custodia, in quanto non avrebbero assicurato la necessaria vigilanza ed assistenza alla paziente pur essendo del tutto prevedibile ed evitabile il rischio di caduta della stessa dalla barella». Come detto però, per la Corte presieduta dal giudice Pier Carlo Floreani «nessuna condotta illecita causativa di danno, né alcuna culpa in vigilando», si può ravvisare nell’operato della dirigente medico – difesa in giudizio dagli avvocati Giovanni Ranalli e Garzuglia – , così come dell’altro infermiere, rappresentato dall’avvocato Laura Chiappelli. Sussistono, invece,si legge ancora nella sentenza «palesi violazioni degli obblighi di custodia e vigilanza da parte dell’infermiera». La donna – assistita dall’avvocato Emidio Gubbiotti – ha invece sostenuto a sua difesa che la sua attività è stata «pronta, rapida, efficace, opportuna e corretta». Ora dovrà però pagare 11.946 euro, oltre alla rivalutazione secondo gli indici Istat e agli interessi legali.

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