di Walter Patalocco
E’ passato un mese e tutto va bene: un partito perde più della metà dei consensi e non s’è registrato nemmeno un lamento.
Anni addietro una faccenda così avrebbe provocato almeno un ‘qualcosa’: qualcuno si sarebbe dimesso, qualcun altro avrebbe dovuto recitare il mea culpa, altri si sarebbero interrogati seriamente sul da farsi.
In via Mazzini a Terni, sede sempre piĂą deserta e silenziosa del Partito democratico, non si muove una foglia. O siamo davanti al muro di gomma o ci sarĂ uno di quei botti da rompere i vetri nel ‘raggio di diverse miglia’.
Intanto s’è rotto il ‘giocattolo’: la piramide granitica, immobile e inamovibile, sembra minacciata da qualche crepa. Tutta colpa del risultato elettorale delle regionali di fine maggio, ma non perchĂ© qualcuno è rimasto impressionato dalla batterella di cuore all’apparire del primo exit poll che dava vincente la destra. No. Quel momento di terrore è passato, dimenticato per quello strano meccanismo di autoconservazione che, ad esempio, quando impatti di faccia contro un autobus fa sentire qualche dolore, ma non fa ricordare niente della ‘botta’. Tale è la strizza che la mente non registra. Così dev’essere successo a quelli del Pd. Ma i dolori adesso dovrebbero consentire di dedurre che qualcosa di ‘strano’ probabilmente è accaduto.
Uno dei dolori è quella prima crepa della piramide. I programmucci ante voto sono stati ingarbugliati dal fatto che nel Pd i ‘bocciani’ sono andati come treni, mentre Terni… E così è successo che l’organigramma studiato a tavolino, con Fabio Paparelli che al massimo sarebbe andato alla presidenza del consiglio regionale (nonostante gli scalpitii) e non in giunta per lasciar posto ad un ternano esterno, è invece assessore e vice della Marini. Che c’entrano i bocciani? E’ che l’altro ternano eletto, Eros Brega, è appunto bocciano e in giunta sembrava potesse andar lui. La deduzione è semplice: se va un eletto vado io, deve aver pensato Paparelli, che ha sparigliato e… eccolo lĂ .
La piramide inamovibile di Terni quel posto di esterno l’aveva fatto intravedere, in ordine sparso, a Carlo Emanuele Trappolino, segretario provinciale di passaggio, però da anni; a Andrea Delli Guanti, segretario comunale in pratica già ultrapassato; a Stefano Bucari che aveva perfino abbandonato gli studi da sindaco di Terni. Invece ha stretto in mano un pugno di mosche. Ed ora ha a che fare con tre scontenti.
Fossero solo quelli gli scontenti! E gli altri, dove li mettiamo? Dove mettiamo quei quindicimila ternani che hanno votato Pd alle europee lo scorso anno e non alle regionali quest’anno? E quei cinquemila che alle regionali il Pd lo votarono nel 2010 ma non nel 2015? E lo smacco che dei cinque consiglieri ternani tre sono dell’opposizione e due della maggioranza? E, questione ancora piĂą delicata, chi cercherĂ di metterci una pezza? Chi riallaccerĂ i rapporti con l’elettorato o come si dice col territorio? I ‘circoli’, molti dei quali brillano per la saracinesca sempre chiusa?
Mandata in soffitta la rottamazione, a quanto sembra, va ora di moda un’altra parola: disruption. Inglese – ovviamente – che significa, scompiglio, interruzione. In italiano sarebbe: ricominciamo da capo per fare meglio. Ma attenzione, perché disruption vuol dire anche disfacimento. Il confine tra i due significati è labile, delicatissimo, basta un niente a romperlo passando dall’altra parte. E c’è chi è pronto ad avvantaggiarsene.
Basta guardare i numeri: elezioni regionali 2015 a Terni Pd 12.691 voti; M5S 8.343 voti; Lega 7001 voti. Meglio non fare somme: sarebbe come incontrare un altro autobus.