Ferentillo: antico reperto riemerge a Sambucheto

A riferirlo è lo storico locale Carlo Favetti: «Si attivi la Soprintendenza»

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È riemerso dal muro dell’antico convento di Santa Maria della Consolazione a Sambucheto (Ferentillo) un particolare altorilievo scolpito su pietra bianca raffigurante, al primo impatto, un giglio simile a quello dello stemma del comune di Ferentillo. «Il reperto è incastonato nel muro divisorio tra la cappella e il piccolo chiostro – afferma lo scrittore e storico locale Carlo Favetti -. In tutti questi anni non si era mai potuto vedere ma con la caduta delle ultime tracce di intonaco, il reperto è tornato in bella vista. Come detto per i profani rappresenta un giglio, ma sappiamo che lo stemma della frazione è una pianta di sambuco, come è raffigurato in affresco al lato dell’altare della chiesa di Santa Caterina nella frazione di Sambucheto. Quindi il reperto, potrebbe addirittura risalire alla prima costruzione del conventino al tempo della stessa Adelasia che qui si ritirò monaca. Il reperto – continua Favetti – deve essere tutelato assolutamente, schedato dalla Soprintendenza, per prevenire eventuali furti da parte dei soliti ladruncoli o tombaroli camuffati da improvvisati estimatori».

L’antico convento reclusorio delle monache a Sambucheto, fu attivo fino al XVIII secolo con annessa chiesa dedicata a San Giacomo. «Dal 1860 ad oggi – aggiunge Favetti – è passato in mano a privati così come la chiesa. Se una buona parte della struttura è stata recuperata, tutta la parte che grava attorno alla diruta chiesa meriterebbe un intervento importante, soprattutto per la particolare storia che tramanda. Inserita nel Terziere Borcino, il primo romitorio fu fondato dalla duchessa Adelasia morta in odore di santità, moglie del duca Longobardo di Spoleto Faroaldo I, ambedue deposti dal figlio Trasamundo. Qui è passata la storia di Ferentillo e della abbazia di San Pietro in Valle. Ma un altro personaggio femminile qui fu recluso dai fratelli e dal padre con dote di mille fiorini, ossia Barbara Cherubini di San Mamiliano, come dal rogito del notaio Paolo Erculei di Matterella del 24 febbraio del 1553. Quindi il reperto emerso dall’intonaco e una testimonianza storica che deve essere protetta, tutelata e fatta conoscere a tutti».

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