di M.L.S.
Cento anni di reclusione per duplice omicidio e lesioni dolose: questa la richiesta complessiva del pubblico ministero Gemma Miliani, della Procura della Repubblica di Perugia, a carico dei cinque imputati, ritenuti responsabili dell’esplosione con incendio che nel pomeriggio del 7 maggio 2021, nel laboratorio di lavorazione della cannabis light a Sette Strade località Canne Greche alle porte di Gubbio, costò la vita al diciannovenne Samuel Cuffaro e alla cinquantaduenne Elisabetta D’Innocenti, con altri tre feriti di cui due gravi.
Nello specifico è stata chiesta la pena di vent’anni ciascuno per Alessandro Rossi (35 anni, legale rappresentante di Greenvest e Green genetics) e il fratello Luciano Rossi (37 anni, gestore di fatto di entrambe le società), Gabriele Muratori (31 anni, legale rappresentante della Green genetics) e la sorella Maria Gloria Muratori (27 anni, legale rappresentante della Greenvest), Giorgio Mosca (45 anni, proprietario dell’immobile in cui si è verificata l’esplosione e considerato anche lui socio occulto e gestore di fatto di entrambe le società).
Giovedì a Perugia si è svolto il processo di primo grado presso la sala degli Affreschi in Corte d’Assise, nei confronti dei cinque imputati. Le conclusioni delle parti civili hanno chiuso il dibattimento di ieri e precedono per l’ultimo atto del processo di primo grado, fissato per il prossimo 10 aprile quando sono previste la discussione e le conclusioni delle difese degli imputati con a seguire la camera di consiglio per la sentenza da parte del collegio presieduto dalla dottoressa Carla Maria Giangamboni.
La tragedia di Canne Greche sconvolse l’intera comunità eugubina che ancora oggi porta i segni per le due vite strappate e quanto successe ai giovani Alessio Cacciapuoti (che all’epoca dei fatti era minorenne e subì l’amputazione di un arto restando a lungo ricoverato al centro grandi ustionati di Cesena) e Kevin Dormicchi che riportarono lesioni molto gravi, mentre Alessandro Rossi, uno dei proprietari dell’azienda, se la cavò con ferite lievi.
Nello stabile la cannabis veniva lavata in lavatrici a ultrasuoni utilizzando pentano, materiale altamente infiammabile che era stoccato in grande quantità nel laboratorio. Secondo l’accusa, gli imputati erano consapevoli dell’estrema pericolosità del metodo utilizzato per abbattere il Thc della cannabis, ma in nome del profitto non hanno messo in essere le misure di sicurezza. Ai cinque imputati, il pm Miliani ha contestato a vario titolo l’omicidio doloso con dolo, le lesioni dolose gravissime, l’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e l’incendio.
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