di C.F.
Acheropita: termine greco che vuol dire ‘immagine fatta da mano non umana’, ossia il volto Santo di Cristo miracolosamente impresso su tessuti e, per estensione, immagini di Cristo e della Vergine ritenute ritratti autentici, tutte di origine orientali (questo in sintesi la terminologia storica del web). Ma cosa centra l’abbazia di San Pietro in Valle Suppegna a Macenano di Ferentillo, con le immagini dei volti Santi del Cristo e della Madre Celeste? Semplicemente nulla e tutto.
Sappiamo, anche perché ce ne siamo occupati spesso, che i dipinti che adornano le parti laterali dell’aula basilicale di San Pietro in Valle, raffiguranti il Vecchio e Nuovo Testamento realizzati attorno al 1190 dal cosiddetto Maestro della Creazione e seguaci, sono di scuola romana e rappresentano un ‘unicum’ nell’arte di tutti i tempi; pre-giotteschi, antecedenti il Cavallini. Alcune immagini, qui prese a campione dei volti Santi, fanno al nostro caso se dobbiamo perseguire il significato di acheropita.
Possiamo dare dei connotati a Cristo e alla sua Madre, se li avviciniamo alle sacre immagini sia ‘romane’ che impresse su più disparati materiali sparsi in tutto il mondo cristiano e non. Dalle icone orientali a quelli impressi ‘miracolosamente’ su semplici tavole o stoffa. A San Lorenzo al Paladino al rione Monti di Roma, presso San Giovanni in Laterano; dipinto a cera nella cappella della Sancta Sanctorum a Roma; il velo della Veronica etc. Ma ci sono immagini di questo tipo anche a Ferentillo.
Il primo, il volto di Cristo impresso in una nicchia che serviva per la conservazione delle ampolle per l’acqua e il vino della messa, situato in basso, sul pilastro di destra dell’arco trionfale (nella foto). Probabile opera di un allievo del cosiddetto Maestro della Creazione. L’immagine del volto Santo del Cristo si mostra in tutta la sua iconicità con tinte accentuate e lineamenti delicati. Il colore, probabilmente è stato arricchito dall’intervento del restauro avvenuto attorno alla fine degli anni ’90, probabilmente ha alterato ancora gli altri interventi svoltisi nei anni ’39/’50/’68. Il volto del Cristo in questa immagine è raffigurato nelle fattezze ancora giovanili, con la barba e i baffi appena accennati ma con una folta capigliatura, raccolta dietro la testa che ne risalta ancora di piu l’aureola. L’immagine occupa buona parte della già minuta superficie, lasciando pochissimo spazio di fondo.
La seconda immagine è data dal volto del Cristo nella scena dell’entrata in Gerusalemme in groppa al somarello tra gli apostoli, folla festante e rami di palme. Questo volto rispecchia in toto l’iconografia classica del secolo XII/XIII. L’autore mette in opera tutta la sua esperienza nella realizzazione anatomica ed imprime con le linee di contorno e colore la sua ingenua freschezza e movimentata staticità (data dall’azione del Cristo nell’atto di benedire) in rapporto alle altre immagini dei personaggi presenti che lo circondano. Il colore prevalente è il marroncino e rossiccio; i capelli scuri, raccolti dietro la testa e il filo di barba, fanno da cornice al viso esaltandolo sull’aureola dorata che trionfa nell’azzurro lapislazzulo. I pigmenti blu erano essenzialmente due: l’oltremare, il più prezioso ottenuto dai lapislazzuli, e l’azzurrite. La tinta densa e satura ottenuta dalla polvere dei preziosi lapislazzuli, rifinita ai bordi da ricami, è insuperabile. Così anche nei fondi stellati e armoniosi con astri e comete. L’immagine (nella foto) è rappresentata dal volto della Vergine, di una unicità in assoluto: la scena è quella della Adorazione dei magi. La Madre, all’angolo del dipinto, mostra il Bambino Gesù ai magi. E’ vestita con il classico manto di color violaceo che la copre dalla testa ai piedi. La Madonna qui è rappresentata nel modo iconografico classico dell’epoca. Il volto è incorniciato da una decorazione a filo dorato del manto, mentre s’intravede da sotto il velo un diadema che impreziosisce il capo.
Al primo impatto si potrebbe affermare che c’è una somiglianza con i volti delle vergini espressi sui mosaici ravennati, addirittura, secondo me si potrebbe avvicinare a quello più sofisticato della stessa Teodolinda); In questo volto, lo sguardo e’ caratterizzato da una anomalia degli occhi: il sinistro e’ aperto e penetrante, quello di destra rimane socchiuso. Il visitatore attento, che osserva l’insieme, può notare una vivacità di colore e di espressioni, una maturità e appropriazione sia di stile che destrezza nella esecuzione finale. Infatti, la scena nel ciclo del nuovo testamento, e’ una delle ultime produzioni del ‘pittore narratore’ che ci ha lasciato nella sua breve ma intensa attività in San Pietro in Valle.