di Fra.Tor.
«La vittimizzazione secondaria si realizza quando le autorità chiamate a reprimere il fenomeno della violenza, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazione della violenza». Venerdì mattina, alla ‘Casa delle donne’ di Terni è stata presentata la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta contro il femminicidio alla presenza della senatrice Valeria Valente (presidente della commissione) e della dottoressa Monica Velletti (presidente della sezione civile del tribunale di Terni).
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L’intervista alla senatrice Valeria Valente
Le risultanze dell’inchiesta
La relazione contiene «le risultanze dell’inchiesta compiuta dalla commissione – è stato spiegato venerdì mattina – per verificare la reale ampiezza del fenomeno di vittimizzazione secondaria nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale. L’inchiesta è nata anche su sollecitazione di numerose madri vittime di violenza e dalla consapevolezza che solo una risposta coerente di tutte le istituzioni può arginare la diffusione della violenza domestica e di quella di genere. Non è infatti ammissibile reprimere la violenza a livello penale e poi ignorarne gli effetti nei procedimenti che regolano l’affidamento dei figli o la responsabilità genitoriale, tollerando che l’autore di tali condotte, da una parte sia indagato e condannato per quanto commesso, e dall’altra sia considerato un genitore idoneo, al pari di quello che ha subito violenza».
I numeri
In base a questi presupposti, la commissione ha posto al vaglio oltre 1.400 procedimenti giudiziali – sia separazioni con domanda di affidamento di minori, sia giudizi minorili sulla responsabilità genitoriale – analizzando tutti i relativi atti processuali. Ha esaminato anche un ampio numero di casi emblematici, in cui le donne hanno segnalato di aver subito forme di vittimizzazione secondaria a causa del mancato riconoscimento della violenza domestica subita. Tra i dati più importanti della relazione emerge che, sui 2.089 casi studiati dalla commissione nel trimestre di marzo, aprile e maggio del 2017, il 34,7% dei procedimenti contiene allegazioni di violenza, mentre il 5,8% associa sia allegazioni di violenza che di disfunzionalità. Dei 724 casi rilevanti per l’indagine, nel 97,6% le allegazioni di violenza erano presenti già negli atti introduttivi.
Le linee guida
La relazione ha evidenziato una serie di linee guida e buone prassi volte ad incrementare la formazione specifica degli operatori sul tema della violenza domestica, tra cui: la specializzazione obbligatoria dei soggetti istituzionali coinvolti (forze dell’ordine, magistrati, avvocati, consulenti, operatori dei servizi sociali), con corsi di formazione sugli indici di riconoscimento della violenza domestica e sulla normativa nazionale e sovranazionale in materia; la formazione di liste di operatori e professionisti specializzati, in ogni settore, sul tema della violenza domestica, cui attingere in presenza di allegazioni di violenza; l’attuazione di percorsi di formazione condivisa tra magistratura (inquirente e giudicante; ordinaria e minorile), forze dell’ordine, avvocatura, servizi sociali, servizi sanitari, centri e associazioni anti-violenza, per diffondere conoscenze atte ad individuare gli indici di violenza domestica. Ulteriori prospettive di riforma riguardano direttamente l’impianto normativo, in particolare le disposizioni che disciplinano i procedimenti di affidamento dei minori e quelli aventi ad oggetto la titolarità della responsabilità genitoriale, al fine di dare effettiva applicazione all’articolo 31 della Convenzione di Istanbul e rendere imprescindibile l’ascolto diretto del minore in sede di istruttoria nei giudizi per l’affidamento.