L.P.
«Ho capito quanto vale una figlia». Sono le parole di Alberto Presta, papà di Raffaella, la donna uccisa il 25 novembre scorso dentro la casa dove abitava col marito e il figlio a Perugia, in via Bellocchio, ad aprire la fiaccolata contro la violenza sulle donne.
La fiaccolata E’ una marcia silenziosa quella che sabato pomeriggio ha attraversato corso Vannucci, tante candele accese per ricordare Raffaella, Margherita, Daniela e Ilaria. Loro non ce l’hanno fatta, il loro ricordo può servire a riflettere e a fermare la violenza. Quella tra le mura domestiche, quella che non ti aspetti sul luogo di lavoro, quella che porta via madri, sorelle, figlie. A Perugia, al fianco di Alberto Presta e del fratello di Raffaella c’è anche il marito di Margherita Peccati e il fratello di Daniela Crispoltoni, le due impiegate uccise negli uffici della Regione al Broletto, c’è Maria Toni, l’amica di Ilaria Abbate. Ci sono anche i rappresentanti delle istituzioni, davanti a tutti il sindaco di Perugia Andrea Romizi, l’assessore Edi Cicchi, i consiglieri Erika Borghesi, Massimo Perari Lorena Pittola, Stefano Giaffreda, gli onorevoli Valeria Cardinali e Pietro Laffranco, il consigliere regionale Carla Casciari e poi ancora donne, famiglie con bambini e tanti uomini.
Il grande abbraccio Un corteo silenzioso, composto, attraversa tutto il centro storico di Perugia che, per l’occasione, si ritrova con le luminarie spente. Arriva davanti alla Fontana Maggiore e compone un cerchio. Con un grande abbraccio tutta la città si stringe intorno ad Alberto e ai familiari delle vittime. Nessun intervento pubblico, il papà di Raffaella si limita a ringraziare tutti. «Voglio solo ringraziarvi per essere qui oggi – dice – vi abbraccio tutti». In silenzio vengono liberate in cielo delle lanterne luminose.
Il ricordo del padre Il suo dolore è di quelli che un padre non dovrebbe conoscere. Ma vuole comunque ricordare sua figlia, «una ragazza eccezionale – dice – col senso del dovere verso sé stessa e verso gli altri. Io non conoscevo Raffaella come la conoscevano gli altri. Era molto legata alla famiglia, la voleva tenere unita nell’interesse del bambino. Si occupava di diritto di famiglia, forse pensava che sarebbe riuscita a sistemare le cose a casa». Loro, i suoi familiari, non sapevano nulla delle difficoltà che viveva Raffaella. «Forse si era confidata con qualche amica intima – prosegue Alberto – io non avrei mai immaginato nulla. Me li ricordo a un matrimonio di famiglia, a fine settembre, sembravano una coppia felice».
«Ora giustizia» Ora Alberto vuole che la giustizia faccia il suo corso. «Dove non arriva quella terrena, arriverà quella divina – prosegue – Mia figlia se n’è andata troppo presto». Assieme alla nonna ora i genitori di Raffaella si occupano del bambino di sei anni che è rimasto senza una mamma e neppure un papà. «E’ un gioiello di bambino, riesce a darci la forza di andare avanti, ci costringe ad essere forti. E’ un piccolo uomo, noi vogliamo solo dargli serenità e sicurezza, pace interiore ed esteriore». E sull’idea espressa da Francesco Rosi in carcere di destinare parte del suo patrimonio al piccolo e alla famiglia Presta, Alberto è netto: «se lui è in grado di darmi qualcosa indietro, allora mi ridia mia figlia, il resto se lo tenga».