di P.C.
Erano le ‘Notti Magiche’ di Italia 90, Totò Schillaci aveva appena sorpreso il mondo entrando dalla panchina e mettendo ko l’Austria, regalando agli Azzurri di Vicini la prima vittoria di quel Mondiale. Non c’erano cortei, ma nell’aria c’era quell’ebbrezza di vittoria, che certo non ti fa sospettare il dramma incombente. E invece, poco dopo il fischio finale, arrivò una telefonata: «C’è del fumo che esce dal pastificio».
La Ponte, il Perugia, i Mundial

Non c’era nemmeno bisogno di nominarlo. Per tutti, a Perugia, il pastificio era la Ponte. L’azienda che aveva trainato per decenni lo sviluppo economico e demografico di Ponte San Giovanni e dei quartieri limitrofi, diventata famosa per essere stato il primo storico marchio impresso sulle magliette di una squadra di calcio, il Perugia dei Miracoli, fresco di record per le zero vittorie, che grazie all’intuizione del presidente D’Attoma e dei dirigenti di allora si pagò il prestito di Paolo Rossi (il ‘pablito’ del 78, prima della squalifica e della nuova esplosione ai mundial di Spagna 82: ancora una volta il calcio e i mondiali nella storia della Ponte!) aprendo un nuovo capitolo nella storia del calcio.
La distruzione

Ebbene, quel fumo era in realtà un incendio. «Nemmeno il tempo di partire da casa e fare i due chilometri che mi separavano dall’azienda che le fiamme avevano già mangiato gran parte della parte alta dell stabile», ci racconta un testimone dell’epoca. «Ricordo come fosse oggi quella rabbia che saliva in gola e si mischiava con l’odore acre, ricordo ancora il rumore dei solai che crollavano». Era l’undici giugno del 1990. Sono passati trent’anni. Il pastificio Ponte ha continuato a lavorare per qualche anno, nella parte di azienda risparmiata dalle fiamme. Ma quel giorno cominciò la sua fine. «Le fiamme – racconta sui social un’altra testimone – cancellarono 116 anni di storia».
Il ricordo
Distrutti tre quarti dello stabilimento
Le cronache dell’epoca raccontano che andarono in fumo seimila metri quadrati di magazzini e reparti produttivi (i tre quarti dello stabilimento), 35 mila quintali di pasta pronta per essere spedita, 70 mila quintali di grano e quattromila di semola. In fumo anche le prospettive lavorative dei 250 operai rimasti temporaneamente senza lavoro in attesa della cassa integrazione. «In tutto – ricostruì ‘La Repubblica’ – danni per 50 miliardi secondo le stime dei carabinieri». I vigili del fuoco ci misero quasi due giorni per spegnere le fiamme. Si salvarono soltanto i silos con le materie prime ed alcuni settori che ospitavano gli uffici.
Fine di un’epoca

Da quel giorno partì il balletto delle voci, delle perizie, delle ricerche di responsabilità , delle versioni ufficiali e delle dietrologie. Come in ogni incendio. Dopo trent’anni si balla allo stesso modo per l’incendio alla Biondi, poco distante dal pastificio Ponte. Dopo qualche anno la chiusura. Nel 2009 l’abbattimento. Al suo posto case negozi e parcheggi.