La carenza degli organici è un tema comune a molti ospedali e strutture sanitarie italiane, ma la questione ormai da diversi mesi è amplificata nei reparti internistici dell’area medica del ‘Santa Maria’ di Terni, dove i pesanti carichi di lavoro stanno mettendo a dura prova il personale medico e sanitario più in generale.
Basta raccogliere la testimonianza di chi suo malgrado frequenta le corsie, da paziente o visitatore, per avere il polso di una situazione davvero vicina al limite: camici bianchi costretti a gestire in media dai 14 ai 17 pazienti a testa, spesso casi di alta complessità dislocati in appoggio in reparti distanti tra loro, elemento che rende ancora più difficoltoso il lavoro dei medici. Ai quali, altrettanto non di rado, capita di doversi occupare di due emergenze in contemporanea in due reparti diversi.
Si apprende così che negli ultimi due anni sono tredici i dirigenti medici che hanno dato le proprie dimissioni, scegliendo altre strutture, sostituiti da non più di cinque/sei unità di personale. A questi si aggiungono cinque professioniste entrate in maternità da febbraio ad oggi, ma non sostituite. Rimangono attualmente in servizio cinque dirigenti medici per ognuno dei tre reparti dell’area medica (dove sono presenti al massimo tre medici per ogni turno), più due per il reparto di pneumologia. Con questi numeri risicati – su un totale di pazienti che può superare anche le cinquanta unità per reparto di degenza – per chi è ancora in servizio rimane complicato, se non impossibile, prendere anche un solo giorno di congedo, ferie o malattia, per non mettere a repentaglio il già carente equilibrio dei turni.
La questione – comune purtroppo ad altri reparti – è già stata evidenziata dal personale con lettere alla direzione del ‘Santa Maria’, oltre che alle rappresentanze di categoria, senza al momento soluzioni. Il problema a monte è la difficoltà nel reperimento del personale medico, vista – evidentemente – la poca attrattività. Concorsi e avvisi recentemente banditi sarebbero di fatto andati a vuoto o comunque non avrebbero coperto le carenze. D’altro canto non c’è possibilità per l’azienda di ridurre i posti letto a disposizione nell’area medica. La realtà è dunque presto detta: medici vicini al burn out e pazienti esposti a rischi.