Due patteggiamenti – fra Roma e Monza – per un totale di 3.200 euro e un decreto penale di condanna del gip di Spoleto (1.032,50 euro di multa per frode nell’esercizio del commercio). Sulla base di queste sentenze la questura di Perugia non ha inteso rinnovare il porto d’armi, per il fucile da caccia, ad un umbro. Che si è rivolto anche al Tar dell’Umbria ed ha perso.
La sostanza è che se si compiono reati che sembrano c’entrare nulla con ambiti come le armi, la caccia, la sicurezza, si può incontrare un perentorio ‘no’ quando si tratta di essere autorizzati al possesso/utilizzo delle stesse. Nel caso di specie – come riporta il quotidiano ‘Il Messaggero Umbria‘ nel citare la sentenza del Tar – l’uomo ha tenuto «una condotta incline a tradire e ad abusare della fiducia del prossimo, facendo venir meno il requisito della buona condotta e dell’affidabilità».
Insomma, per il Tar la questura di Perugia ha operato correttamente nel non rinnovare il titolo al cacciatore con precedenti per frode nel commercio, perché la polizia di Stato ha saputo cogliere «correttamente e senza travisamenti o forzature logiche, la sussistenza di comportamenti delittuosi omogenei e reiterati in un periodo piuttosto lungo, tale da integrare il presupposto ostativo derivante dalla mancanza della buona condotta».