di S.F.
Cinque obiettivi. Ridurre gli accessi impropri al pronto soccorso, diminuire il numero di ricoveri da PS, migliorare la performance in termini di durata di degenza, riduzione dei ricoveri ripetuti e dei tempi di attesa dei pazienti in PS: sono quelli indicati dall’azienda ospedaliera in merito al progetto per l’eliminazione del sovraffollamento al ‘Santa Maria’ di Terni. L’adozione è arrivata giovedì con una specifica delibera approvata dal direttore generale Pasquale Chiarelli: la figura principale in qualità di coordinatore delle attività e del gruppo di lavoro è Massimo Rizzo, responsabile facente funzioni della struttura semplice dipartimentale igiene e processi ospedalieri. Questione tutt’altro che semplice da risolvere.
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L’integrazione con Usl e medici di base
Il progetto – nel documento c’è una lunga serie di tabelle con tutti i numeri legati alla questione – si basa sui dati pre Covid, fino al 2019, ed è stato firmato per tentare di garantire un flusso più scorrevole all’interno dell’ospedale. Con una premessa: «Le attività progettuali con i relativi tempi di realizzazione saranno necessariamente conseguenti alla situazione epidemiologica relativa alla diffusione del Covid». Il buon esito della procedura consentirebbe inoltre – si sottolinea – una maggiore tempestività nella «risposta alla richiesta di esami radiologici e di endoscopia digestiva per pazienti ricoverati ed una maggiore standardizzazione nella gestione clinico assistenziale dei percorsi diagnostico-terapeutici» di chi è ricoverato in area medica. Non solo. Tra i risultati attesi una «maggiore condivisione con l’azienda Usl Umbria 2 e con i medici di medicina generale dei percorsi in dimissione/trasferimento per una più efficace presa in carico del paziente e una migliore continuità delle cure». I buoni propositi e le idee non mancano, il problema è l’attuazione. D’altronde l che va avanti da pochi mesi. Tra i soggetti giocoforza coinvolti sono citati il direttore generale della Regione Umbria Massimo Braganti, il direttore sanitario Alessandra Ascani e la direzione aziendale della Usl Umbria 2. Per sovraffollamento si intende la situazione in cui la domanda di prestazioni supera la capacità di fornire cure in tempi appropriati, rischiando di provocare una risposta qualitativamente non adeguata. Tradotto, letti in corridoio.

Le criticità
Sono numerose le cause elencate per il sovraffollamento al ‘Santa Maria’. Su tutti spiccano il «costante aumento degli accessi al pronto soccorso o da parte del 118, l’elevata percentuale di pazienti ricoverati da PS rispetto al numero di accessi, la scarsa disponibilità di percorsi ambulatoriali dedicati al PS come soluzione alternativa al ricovero, la concentrazione delle dimissioni in poche ore della giornata con conseguente accesso alle aree di degenza nel pomeriggio e stazionamento prolungato dei pazienti in PS, la riduzione del turnover nella giornata di domenica, la significativa riduzione del numero di esami radiologici per pazienti ricoverati, la limitata funzione della medicina d’urgenza e l’aumento del tempo di attesa per trasferimenti alla struttura territoriale (centro geriatrico)». E non sono nemmeno tutte.

Gli obiettivi
Anche in questo caso sono molte le azioni messe nere su bianco per cercare di uscirne. In particolar modo per ridurre il numero di ricoveri da PS si punta all’attivazione di «agende di specialistica ambulatoriale dedicate per il PS (area cardiologica), la messa a regime della funzione dell’hospitalist, l’adeguamento tecnologico Obi e la definizione di un percorso interaziendale per eventuali ricoveri in altri ospedali della Usl Umbria 2». Capitolo miglioramento della durata di degenza: tra gli obiettivi c’è la «definizione di un appropriato volume e modalità di esecuzione di esami radiologici/endoscopia digestiva in favore di pazienti ricoverati e la ‘qualificazione della funzione della medicina d’urgenza». Si passa poi alla riduzione dei ricoveri ripetuti: «Predisposizione procedure follow-up per le prime dieci diagnosi di dimissione; implementazione ambulatori per scompenso cardiaco e Bpco e di percorsi ambulatoriali complessi e coordinati; telemedicina». In quest’ultimo caso con prima fase che prevede l’attivazione della teleassistenza neurologica e di neuroriabilitazione. Infine l’input per diminuire i tempi di attesa per il ricovero in PS che, in uno dei punti, prevede la «messa a regime della discharge room». Tempistiche per la realizzazione? Per gli interventi più rilevanti si arriva fino a sette mesi.

L’analisi. Tra le minacce c’è la resistenza interna
Tutto bello sulla carta. Ma quanto è fattibile tutto ciò? La stessa azienda ospedaliera mette in fila – attraverso la Swot analysis – tutto ciò che potrebbe creare grattacapi: sotto la voce ‘minacce’ ci sono la «visione ospedalocentrica del cittadino/utente, la resistenza al confronto e alla standardizzazione dei comportamenti» e soprattutto «resistenze interne per preoccupazione di un peggioramento delle proprie performance». I punti di forza risultano invece «il mandato ‘forte’ della direzione regionale e aziendale, il know how dei professionisti e il supporto di tecnologia e informatica». Gli aspetti di debolezza non sono pochi: «‘Numerosità del personale’, limiti strutturali dell’azienda ospedaliera, emergenza Covid-19 e coinvolgimento di professionisti di altra azienda sanitaria». Il documento c’è, non resta che attendere se davvero cambierà qualcosa.

La Ascani chiarisce: assistenza, cura e integrazione
In merito alla delibera firmata giovedì è il direttore sanitario Alessandra Ascani a dare ulteriori delucidazioni: «Il sistema sanitario deve garantire le cure a tutti. Nel caso della nostra azienda ospedaliera l’assistenza deve essere garantita per le patologie più complesse: vogliamo curare il paziente giusto nel posto giusto, al momento giusto. Voler curare le patologie acute più complesse e la cronicità in setting assitenziali diversi significa offrire cure più adeguate. Favorire le cure delle patologie più semplici direttamente nel territorio significa garantire una risposta più adeguata, cure appropriate e tempestive in pronto soccorso per le condizioni più gravi, ridurre le attese, ridurre il sovraffollamento in ospedale significa far scomparire i tanto discussi letti in corridoio. La integrazione fra azienda ospedaliera e Asl è indispensabile per offrire cure migliori, orientare altrove le patologie che in PS sarebbero codificate con bianco o verde significa migliorare l’appropriatezza». Per quanto riguarda le criticità, parlando di numerosità del personale «si intende il senso letterale del termine, all’inizio del nostro mandato la numerosità rappresentava un punto critico, negli ultimi sei mesi sono stati assunti 150 professionisti fra medici infermieri Oss, tecnici e autisti, di cui 101 a tempo indeterminato».
Chiarelli e la resistenza
Un concetto che ribadisce anche lo stesso Chiarelli: «C’è stato un notevole aumento delle assunzioni a tempo indeterminato e in queste ore stiamo ancora assuemendo altri professionisti. Dobbiamo lavorare perché si crei qualcosa di sano e valido per i prossimi anni, bisogna dare a tutti il meglio possibile nel modo più appropriato: la questione non è ‘risparmiare’ ma ‘non sprecare’. Una delle maggiori ‘fatiche’ è la resistenza al cambiamento, bisogna andare in quella direzione. È ingiusto dire che questa direzione guarda ai numeri, è ingiusto dirlo nei confronti di tutto il personale dedicato alla assistenza. Guardiamo – conclude – alla assistenza delle persone».