di C.F.
«Varcare questa porta è un attimo o poco più. Assaporare l’oltretomba forse è cosa gradita. Tra archi e colonne la selva dantesca… come per incanto, lì dietro un angolo visi e volti sembrano rosicchiate dal tempo… gente non si sa da quando. Muri di vetro avvolti in veli, le mummie silenti a sera. Allo spigola nell’aria lo sguardo dell accoltellato chiedendo aiuto non so per cosa; una donna stringe ancora al petto il suo bambino; il campanaro cerca nell’aria la sua amata tra rintocchi e fiori profumati; i cinesi rapiti dall’amore giacciono insieme consumando nella polvere la loro prima giovinezza».
Il museo-cimitero delle mummie di Ferentillo è uno dei luoghi più gettonati dai turisti che raggiungono l’Umbria del sud, su un percorso che va dalla Cascata delle Marmore fino a Castelluccio di Norcia. Il successo viene dato dai personaggi che riposano da secoli in questo luogo e le loro storie raccontate e tramandate nel corso degli anni. Storie raccolte nel libro dei due autori ferentillesi.
Questa volta portiamo a far conoscere una storia d’amore stroncata tragicamente ma che ancora oggi viene narrata a turisti e visitatori. Giacomo aveva la sua botteguccia all’inizio delle vecchie case del borgo. Figlio del compianto maestro Antonio, ereditò dal padre l’arte del cordaio. Era un ragazzino di 20 anni dai capelli ricci e neri come i suoi occhi profondi e scintillanti. Era inoltre il più bravo tra i campanari.
A Precetto in quei giorni, si preparava per la festa del Corpus Domini. Giacomo si alzò presto, svegliato dal brusio delle donne indaffarate giu al forno. Agnese era lì, con il candido grembiule, i capelli raccolti e la tavola fumante in capo, che si avviava verso il castello. L’amava. Visto che la fanciulla era sola, le corse incontro pieno di emozione e con il cuore in gola le chiese finalmente di diventare sua sposa. La fanciulla abbassò lo sguardo, arrossì, sorrise e frettolosamente riprese il cammino. Quel sorriso lo aveva riempito di speranza.
L’indomani sarebbe stata festa. Era certo che la fanciulla gli avrebbe aperto il cuore. Quindi si apprestò al lavoro fischiettando un allegro motivetto. All’alba la campana della chiesa suonò a martello per chiamare a raccolta i campanari. Giacomo con il vestito buono andò in piazza per unirsi ai suoi compagni. Dal campanile egli poteva vedere tutto: il paese, la casa di Agnese, le viuzze strette colorate di fiori ed erbe selvatiche dalle quali saliva un profumo che si estendeva nell’aria calda di giugno. I rintocchi si facevano sempre più forti frequenti.
Ed ecco uscire dalla chiesa il corteo, con canti osannanti e fumi sacri. Tra le vergini Agnese, bella quanto mai. Il suo sguardo si alzò ad incontrare quello di Giacomo. La felicità illuminò il volto di lui. Un brivido percorse il corpo di lei. Poi il tonfo agghiacciante. Le urla. Giacomo, il corpo sfigurato, giaceva ora sul letto di fiori e di erbe selvatiche. Agnese, trattenendo a stento le lacrime, raccolse una manciata di fiori che lasciò lentamente cadere sul corpo del suo sfortunato amore. E fuggì correndo su, verso il castello.
Credo, e ne sono certo, che chi non ha mai visitato il museo delle mummie di Precetto non abbia ascoltato le spiegazioni degli operatori sulle storie che aleggiano sugli ospiti di questo sito, ricercatissimo ormai da ogni parte del mondo. Bene, questa è la storia del campanaro scaraventato dal campanile di Santo Stefano perché si era distratto per scorgere il passaggio della sua fidanzata.