di S.F.
Un’opposizione avverso un totale di 58 verbali di violazione dell’articolo 7 del Codice della strada, notificati dalla polizia Locale in quattro tranches tra il 18 settembre 2017 e il 2 novembre 2017. Tutti per aver circolato nella zona a traffico limitato di Terni senza la prescritta autorizzazione: è il tema di scontro che, a livello giudiziario, si è concluso con un’ordinanza della Cassazione – II sezione civile, presidente Mauro Mocci – che ha dato ragione alla cittadina ‘vittima’ delle multe. Niente da fare per il Comune.
Cosa è successo? Al centro dell’attenzione il ricorso di una donna (I.F. le iniziali), la quale aveva dedotto «di essere incorsa in errore incolpevole, avendo – al momento della commissione delle diverse infrazioni – la convinzione di essere ancora titolare del permesso di circolare nella zona a traffico limitato, non avendo l’amministrazione comunale inviato alcuna comunicazione a distanza di circa due anni dal cambio di residenza dell’opponente (trasferitasi dal centro storico di Terni ad altro Comune in provincia di Siena), né avrebbe mai irrogato e notificato alcuna sanzione amministrativa prima di quelle oggetto di impugnazione». Il giudice di pace di Terni ha accolto parzialmente i ricorsi: verbali tutti annullati tranne uno, con pagamento di 94,08 euro. Il Comune non ha mollato e si è attivata con il tribunale impugnando il giudizio.
Il giudice ha confermato il provvedimento: «Nel caso di specie, non sussiste alcun elemento positivo esterno idoneo ad ingenerare nell’autrice della trasgressione il convincimento della liceità della propria condotta, atteso che nessuna norma impone all’amministrazione comunale l’obbligo di dare comunicazione agli interessati della disabilitazione del permesso di transito in Ztl nel caso di decadenza accertata d’ufficio, né di scadenza del termine di validità dello stesso. Al contrario, è obbligo dei titolari dei permessi rilasciati per il transito e la sosta in Ztl comunicare agli uffici competenti il verificarsi di una delle cause legittimanti il venir meno dei requisiti e delle condizioni per il mantenimento dell’autorizzazione con restituzione del contrassegno. Deve ritenersi che la signora F. può essere ritenuta incolpevole solo in relazione all’errore della mancata riconsegna del permesso scaduto. Ovvero della mancata richiesta di rilascio di un nuovo permesso a favore della figlia». Quindi?
Per il giudice «non possono ritenersi assistite del necessario elemento soggettivo (dolo o colpa) le successive violazioni integrate dai singoli accessi alla zona a traffico limitato, atteso che esse traggono origine unicamente dalla precedente omissione e sono prive di quella coscienza e volontà di porsi in contrasto con l’ordinamento richiesta dall’articolo 3 della legge 689/1981, come anche confermato dal fatto che dopo la notifica delle prime contravvenzioni avvenuta in data 18 settembre 2017 il permesso è stato rinnovato e nessun altro accesso ingiustificato si è verificato». Si arriva al ricorso del Comune in Cassazione. A difendere la cittadina ci ha pensato l’avvocato Stefania Vichi.
Per l’ente la sentenza si «pone in palese contrasto, innanzitutto, con i principi espressi dalla Corte di legittimità in tema di scusabilità dell’errore di fatto sulla condotta illecita: la mera tolleranza, ovvero la mancanza di controlli, non è in alcun modo idonea a configurare la buona fede del trasgressore e ad escludere l’elemento soggettivo dell’illecito (Cass. 657/1999). In secondo luogo, pur avendo il giudice accertato che si tratta di una pluralità di condotte, ne ha erroneamente ed illogicamente dedotto la riconducibilità dell’aspetto colposo delle violazioni alla sola prima infrazione commessa. La configurazione di tali illeciti come un tutt’uno presupporrebbe il loro inquadramento nella categoria giuridica del concorso formale».
Per la Cassazione è infondata la questione posta dal Comune: «Le violazioni, anche in tempi diversi, della medesima norma relativa alla circolazione di un veicolo non avente i requisiti amministrativi richiesti dalla legge devono, semmai, essere considerate come un’unica infrazione in quanto reiterazioni del medesimo illecito amministrativo (reiterazione specifica). Si può, quindi, confermare la soluzione adottata dal giudice di seconde cure laddove ritiene valido ed efficace un unico verbale di contestazione: non si tratta, infatti, di escludere l’elemento soggettivo del trasgressore con riferimento alle violazioni successive (il che vale a rispondere alla prima delle censure elevate dal ricorrente), quanto piuttosto – in applicazione della disposizione citata – di elidere la valutazione delle violazioni amministrative successive alla prima». Risultato: ricorso rigettato e Comune condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità per 370 euro.