di Maria Luce Schillaci
Una vita tra lavoro e famiglia e una storia molto particolare: è la storia di Lung Beniamin Claudiu. Di origine romena ma ormai ternano di adozione. Ha 44 anni e ha sposato una ternana, Chiara Proietti, da cui ha avuto quattro figli: Sofia Rachele che ha 14 anni, Daniele di 13, Mattia 11 anni e Chloe 4. Beniamin è molto conosciuto a Terni perché, insieme alla moglie, è titolare di Mio Bio, il ristorante biologico in pieno centro. Una storia molto particolare, si diceva.
Nato nel 1980 in una città nel nord ovest della Romania, si è diplomato al liceo per l’industria alimentare. Ha iniziato a lavorare andando a fare il controllore dell’Hccp nelle fabbriche di prodotti alimentari. Poi, però, a 18 anni la svolta della sua vita: «Dovevo scegliere se fare l’università o il militare e ho deciso di raggiungere i miei genitori che stavano in Italia per lavoro, in Umbria, a Casteltodino. Sono arrivato nel 1999 e ho iniziato a lavorare in un’azienda che restaurava mobili antichi, poi nel weekend, per arrotondare, facevo il cuoco in un ristorante del posto. Qua ho incontrato lo chef inglese John Patersson che mi ha convinto a seguirlo. Ho iniziato così. Sono arrivato intorno al 2000 a San Gemini, al ristorate la Palombara, dove ho conosciuto mia moglie, la figlia del titolare. Ci siamo sposati nel 2009. Abbiamo avuto alti e bassi, abbiamo chiuso la Palombara e abbiamo avuto due figli, così abbiamo deciso di prenderci un anno sabbatico e dedicarci ad altro, facendo per tre anni catering».
Quindi un’altra svolta: «Sono arrivato a lavorare al Tomato 4, locale storico di Gianluca Munzi, anni molto belli fino a quando, nel 2014, ho preso un’altra strada e sono arrivato qua. C’era un ristorante Sviluppo-cucinà, ma dopo quattro anni di attività i soci hanno deciso di chiudere, così io e mia moglie abbiamo rilevato il locale chiamandolo Mio Bio perché usiamo solo prodotti biologici e di aziende del territorio. Dal 2018 dunque eccoci dunque qua».
Poi purtroppo è arrivato il Covid e ha cambiato tutto e tutti. «Ci siamo dovuti adattare come tutti con il delivery, nel frattempo abbiamo avuto altri due figli. Oggi stiamo bene. Ho cinque dipendenti a tempo indeterminato e quattro ragazze con contratto a chiamata, anche se c’è comunque tanta incertezza. Avremmo bisogno di più personale ma non è semplice, fare il cuoco è una missione, lo devi fare per passione, se hai passione la fatica non la senti, oggi vogliono tutti fotografare e giudicare i piatti che mangiano, e sono bravissimi, ma il più delle volte non sanno come viene lavorato quel piatto».
Il futuro? «Amo tantissimo il lavoro, ma la cosa più bella resta la famiglia. Speriamo che i figli possano anche loro innamorarsi di questo mestiere e continuino l’attività. I cuochi, si sa, spesso girano ma io spero di restare a Terni: sono i cuochi che devono girare intorno a me!».