«Terni come chi ‘può ma non si applica’». La riflessione di chi se ne è andata, ma vuole tornare

La lettera di una studentessa, Veronica Raggi. «Investire sulla cultura è fondamentale»

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di Veronica Raggi

Dopo la notizia dell’incasso della quinta rata del Pnrr, è lecito accendere ancora nuove speranze verso il futuro e dubitare sui progetti non ancora realizzati. Questi fondi di rilancio potrebbero essere un motore innovativo per tutto il territorio nazionale in tanti settori. Però siamo sicuri che questa riqualificazione avverrà? Analizzando piccole realtà come quella umbra e nello specifico della mia città, Terni, nutro forti dubbi e timori in merito all’attuale situazione economica e industriale. Sono cresciuta ed ho studiato a Terni, ne ho assaporato anche la sua realtà universitaria, ma poi ho capito di dovermene andare, per studiare, conoscere altro e capire perché certe cose di questa città non funzionano, con il desiderio un domani di tornare e offrire un contributo positivo.

Terni è il classico caso del ragazzo che a scuola ha tanto potenziale ma non si applica. Potremmo interrogarci sui motivi, dirci che qualcuno fa in modo da non farlo applicare, ma a volte sembra che manchi il vero e proprio spirito d’iniziativa nel provare ad agire e a cambiare le cose. Il potenziale di questa città non sta solo nell’industria siderurgica, ma nella conoscenza, nella cultura, nella ricerca e nella qualità di vita che questa può offrire.

L’acciaieria è ormai una realtà consolidata, che ovviamente non va data per scontata, va sostenuta, potenziata, ma a Terni, per fortuna non si produce solo acciaio. Esistono tre facoltà universitarie importanti e istituzionali, quali ingegneria, medicina ed economia, che potrebbero rappresentare un’alternativa di sviluppo alla tradizionale industria pesante. Ho frequentato la triennale di ingegneria industriale a Terni, ne ho conosciuto le menti che la compongono e ne sono rimasta colpita positivamente. Al termine del liceo, infatti, ero disillusa sull’università ternana, su cosa avrei potuto trovare, ma fortunatamente mi sono dovuta ricredere. Se si ascoltassero i professori, gli studenti, i ricercatori che lavorano nelle facoltà ternane, ci si renderebbe conto di quante menti capaci e brillanti ci siano. Il problema è che queste non sempre hanno i mezzi idonei alla ricerca o al lavoro accademico. Se ci sono i cervelli, ma non ci sono gli strumenti, per quanto uno possa ingegnarsi per raggiungere certi obiettivi, non potrebbe comunque competere con università più ricche, che hanno già un nome noto, che beneficiano di finanziamenti aziendali o statali ingenti e che fanno prosperare persone, aziende e luoghi.

Oggi frequento il corso di laurea magistrale in un’altra città, lontana e molto più grande, ma se guardo le differenze con il polo ternano, posso dire che la qualità della didattica è la stessa, che le materie sono molto simili, che in una realtà grande c’è molta più scelta dei temi dei vari rami ingegneristici che si vogliono approfondire, ma in una realtà piccola, come quella ternana, c’è il rapporto diretto con il professore che diventa a tutti gli effetti un mentore che guida e appassiona.

Tornando alle tre facoltà che ci sono a Terni, mi sono sempre chiesta il motivo per il quale l’università degli Studi di Perugia non abbia mai ampliato l’offerta formativa inserendo corsi di laurea che incontrino tutti e tre i dipartimenti. Il bello dell’ingegneria è la sua versatilità, pertanto nei luoghi in cui coesistono poli di ingegneria, medicina ed economia, sotto la giurisdizione dello stesso Ateneo, possono nascere corsi di laurea in ingegneria gestionale, che vede la commistione dell’ingegneria con l’economia, di ingegneria biomedica e biotecnologie mediche, in cui l’ingegneria incontra la medicina.

Indirizzi del genere attrarrebbero le nuove leve di studenti che non sarebbero più costretti ad andarsene, ma potrebbero arricchire il territorio con nuove scoperte e nuove collaborazioni. Questi corsi di laurea inoltre sono molto richiesti dal mondo del lavoro e permetterebbero di colmare anche posti di lavoro di aziende vicine che ancora restano vacanti, perché in luoghi in cui non ci sono prospettive future di crescita, le persone fuggono e non restano.

Al di là dell’università, parlando sempre di cultura, a Terni manca un teatro. Il teatro Secci non basta e non rende giustizia a quello che un tempo era un teatro degno di nome, il Verdi. Ho frequentato entrambi i teatri, ne ho vissute le diverse emozioni che questi possono suscitare e per quanto il Secci possa essere una valida alternativa, non può comunque accaparrarsi la responsabilità di essere il teatro di riferimento cittadino per le varie stagioni teatrali, per gli spettacoli delle scuole di danza o per tanto altro. Il Verdi sapeva di storia, mentre il Secci resta ancora anonimo e non attrattivo per eventi di un certo calibro che infatti poi ricadono su teatri più adatti, come quello di Narni.

Qualcuno direbbe che con la cultura non si mangia, ma io direi che con la cultura, o meglio con la scienza, il sapere, la ricerca, si vive, si scopre come si curano certe malattie, come si può produrre in modo più sostenibile, come si contrasta il cambiamento climatico e si affrontano tante altre problematiche attuali. Ecco se non si può investire per aprire nuovi corsi di laurea, per costruire teatri o luoghi di cultura, almeno si dovrebbe investire sui centri di ricerca, sugli incubatori di start up, sugli hub di innovazione e sviluppo. I famosi fondi del Pnrr sarebbero già stanziati dall’università degli Studi di Perugia per il progetto ‘Vitality’ con lo scopo di realizzare un polo sulle nanotecnologie a Nocera Umbra e un polo sui biomateriali a Terni. Per il polo di Nocera Umbra sono già iniziati i sopralluoghi, esiste già sul sito di ‘Vitality’ un video con il progetto della struttura senza una stima precisa della fine dei lavori, mentre per il polo ternano non è dato sapere né il dove, né il quando. Sarà un’occasione persa come quella dell’ex Isrim? Citando Manzoni direi: ‘ai posteri l’ardua sentenza’.

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