di Walter Patalocco
Era mercoledƬ, ed il mercoledƬ lo spaccio della ‘Terni’ era aperto fin dal mattino. Ferragosto capitava di domenica, festa doppia, allora e – beh – qualcosa di ‘speciale’ si poteva anche comprare, pure se le condizioni erano quelle che erano, con una guerra in corso, le truppe alleate che stavano in Sicilia, il fascismo che era caduto da un paio di settimane e al Governo cāera Pietro Badoglio, generale fedelissimo alla monarchia Sabauda.
Lo spaccio stava in piazza Tacito, allāangolo con via Battisti. Era affollata quindi piazza Tacito, ed anche le altre vie del centro, perchĆ© il mercoledƬ cāera pure il mercato. A quellāaereo che passando alto, su, sopra la montagna della Croce, che aveva lasciato una scia di fumo bianco, parecchi non fecero nemmeno caso. Le sirene che davano lāallarme? Avevano suonato tante volte, ma poi non era successo niente⦠Proprio quel giorno lƬ dovevano bombardare Terni per la prima volta?
SƬ, successe proprio quel giorno per la prima volta. Erano quasi le dieci e mezza. Quella scia di fumo bianco era un segnale per le squadriglie di bombardieri che subito dopo arrivarono in formazione sopra la conca. Cominciarono a sganciare le bombe sopra la stazione, poi seguirono la linea ferrata che portava verso la zona dove stavano le industrie, la ‘Terni’, la Fabbrica dāarmi⦠Erano quelle il loro obiettivo: fabbriche, ferrovie, ponti, strade. Senza tanti complimenti, senza guardare al capello: bombardamenti a tappeto. Saltò in aria soprattutto la zona nord del centro: tutte le case dalle parti della stazione, SantāAgnese, borgo Bovio, piazza Tacito e su su, fino a corso Vittorio Emanuele. Altre che solo fabbriche! Chiese, palazzi, abitazioni, lāospedale, il palazzo del Governo, via Camporeali, San Francesco e lāIstituto delle monache Orsoline. Tutto ridotto ad un unico cumulo di macerie. Almeno ci avessero azzeccato: sulle acciaierie di bombe ne arrivo giusto qualcuna: pochi danni e due vittime.
Tre ondate successive, mentre tutti correvano a cercare sui muri quei cerchi bianchi, con una ‘I’ nera, che indicavano i rifugi antiaerei. Molti riuscirono ad infilarcisi, e salvarono la pelle. Altri scapparono precipitosamente verso la periferia.
Ci volle qualche giorno prima di poter fare un bilancio: man mano che si scavava tra le macerie, dopo quelle due ore di morte e distruzione, il bilancio diventava più sconvolgente. Una bomba aveva centrato lāingresso del rifugio di via Pacinotti e solo lƬ le vittime non si contavano. La Prefettura parlava di cinquecento morti, il primo bollettino ufficiale di 72, ma il giorno dopo fu corretto: 304 morti e 503 feriti. Al primo bombardamento.
A Roma, che in quegli stessi giorni fu colpita in unāarea molto più vasta, le vittime furono 218 con 506 feriti. Nel pomeriggio arrivarono il Re e la Regina, andarono a trovare i feriti in quel che restava dellāospedale, lasciarono duecentomila lire per le famiglie in maggiore difficoltĆ , ma nessuno li guardò con occhio benevolo, mentre piangeva un familiare morto o disperso quella mattina, in cui lāaria di festa che nonostante tutto si respirava, aveva lasciato posto al fumo, alla polvere della macerie, alle vite spezzate. Cāera andati di mezzo uomini anziani, donne, ragazzini. Negli occhi dei sopravvissuti ormai si leggeva il terrore.
Per Terni, diventata in seguito bersaglio abituale, non era che lāinizio, il primo di più di cento bombardamenti. Quelli erano i primi di mille morti. Ventāanni dopo la Repubblica Italiana assegnò alla cittĆ la medaglia al valor civile per quelle terribili prove sopportate. Una medaglia che non fu nemmeno dāoro.