di Daniele Venturi
Sono un donatore di sangue da quasi trent’anni. Cominciai appena ventunenne, quando il reparto emotrafusionale del ‘Santa Maria’ di Terni era una specie di garage, dove gli operatori si facevano in quattro per mettere a proprio agio le persone. Ne è passata di acqua sotto ai ponti.
Nel giorno del mio cinquantesimo compleanno, ora come allora, ho deciso di condividere la mia ‘festa’ con gli altri, ovvero con tanti ‘altri’ a me ignoti, porgendo il mio braccio all’ago che porta dritto alla sacca. Impensabile non regalare un po’ della mia forza a chi, uomini, donne, anziani o bambini, possa necessitare di un salvifico supporto vitale. È un degno modo per ‘spegnere le candeline’.
Ne è passata di acqua sotto ai ponti, dicevo. E forse, in questo lasso di tempo si è andata perdendo quella ‘buona organizzazione’ che in passato, nonostante tutto, rendeva la donazione una cosa semplice. Probabilmente, aver scelto di affiancare la prenotazione oraria al classico numero cui accodarsi, non è stata la migliore delle decisioni. Quantomeno in assenza di due distinti canali di anamnesi. Chi dona sa a cosa io mi riferisca.
Allo stesso tempo, è pur probabile che un ‘turnover’ del personale poco accorto abbia impattato negativamente sul grado di professionalità di chi, dall’accettazione al completamento della donazione, abbia il compito di accogliere e prendersi cura dei donatori.
Venerdì 31 gennaio eravamo circa quaranta persone in attesa… Un numero eccezionale, di questi tempi, per una città in eterna carenza di sangue ed emoderivati come Terni. Peccato che buona parte di quelle stesse persone abbia condiviso con me le inquietudini conseguenti a un evidente e generale peggioramento del servizio.
Massimo rispetto per chi lavori ma è certo che vi sia molto da fare per alzare il livello, riportandolo sul piano delle aspettative di chi, senza nulla chiedere in cambio, ceda disinteressatamente ma encomiabilmente qualcosa di sé. P.S. Non resta che confidare nella nuova primaria. Buon lavoro.