di Francesca Torricelli
«Quello che so del mestiere del giornalista l’ho imparato grazie a lui». E poi, ancora: «Quante discussioni abbiamo fatto, quanto era severo ed esigente sul lavoro, ricordo le urla provenire dal suo ufficio quando qualcosa non andava come voleva, ma era anche il primo a difendere i suoi collaboratori ovunque e in qualsiasi circostanza». Lunedì pomeriggio la chiesa di San Giuseppe Lavoratore, a Terni, era gremita per l’ultimo saluto al giornalista Walter Patalocco. Accanto ai figli Leonardo e Alessio, alla moglie, le nuore e i nipoti, c’erano anche tutti quei ‘figli’ che Walter ha cresciuto negli anni da capo servizio nella redazione de ‘Il Messaggero‘.
La curiosità
Nella notte tra sabato e domenica, Terni ha perso un giornalista, un uomo, che amava il suo mestiere e la sua città. Una Terni che ancora oggi, pur lavorando molto meno, osservava curioso per coglierne i lati che ad altri sfuggivano, chiedendo sempre: «Scusa non ho capito, mi spieghi», anche se aveva capito perfettamente, voleva solo scoprire diversi punti di vista e stimolare un confronto. Solo così la sua penna aveva tutti gli elementi per una narrazione profonda, chiara, attenta, a volte pungente, indelebile. Una curiosità che ha sempre cercato di trasmettere ai suoi collaboratori, chiedendo loro di uscire dalla redazione, di stare in mezzo alla gente, alle storie, in modo che avrebbero potuto poi raccontare qualcosa, sempre con un linguaggio, come si raccomandava, semplice e comprensibile anche dalla nonnina di quartiere. Dalla notte tra sabato e domenica, Terni è un po’ più povera. Ciao Patalò. Grazie.